Come può essere implementata la Risoluzione 1325 se nessuno ne ha mai sentito parlare? Alla vigilia del 20° anniversario della Risoluzione, questa domanda potrebbe sembrare riduttiva. Eppure, considerata la lentezza nella promozione degli obiettivi dell’agenda Donne, Pace e Sicurezza, sarebbe il caso di affrontare la domanda: chi si dovrebbe occupare di tale promozione? La risposta più ovvia è curiosamente spesso omessa in policy papers e report di ricerca. Perché i media sono ignorati come fattore di cambiamento per l’agenda Donne, Pace e Sicurezza? Ma soprattutto: come si può sbloccare il potere trasformativo dei media nell’implementazione della Risoluzione 1325 nel prossimo decennio? La risposta presuppone il riesame dei principi che determinano come i giornalisti coprono questioni di genere in zone di conflitto, e porre l’attenzione su una nuova agenda: un codice di etica per giornalisti che si occupano di questioni di genere e conflitto. Troppo spesso i media sono visti come semplici canali attraverso i quali comunicare e promuovere il lavoro dei “veri” attori politici. Nonostante ciò, il ruolo cruciale dei media è stato riconosciuto nel 1995 nella Beijing Platform for Action e dal Global Study del 2015 di UN Women sull’implementazione della Risoluzione 1325. I media possono giocare un ruolo nella trasformazione di norme sociali con l’obiettivo di prevenire conflitti, facilitando il flusso di informazioni durante i conflitti e contribuendo a giustizia e riconciliazione in contesti di post-conflitto. Infatti, è vero che i media sono modellati dal mondo che li circonda, ma è altrettanto vero che hanno la capacità di cambiarlo. Perciò, i media possono promuovere l’uguaglianza di genere e prevenire conflitti, ma possono anche perpetrare norme sociali dannose o persino traumatizzare i soggetti delle loro storie. Johanna Foster e Sherizaan Minwalla hanno condotto uno studio, a seguito degli attacchi dell’ISIS contro gli Yazidi, intervistando donne yazide a riguardo delle loro interazioni con i media internazionali. I risultati furono sconvolgenti: l’85% delle donne ha segnalato che i giornalisti adottavano comportamenti immorali, spesso facendo pressione su di loro affinchè parlassero, o non proteggendo la loro privacy. Questa condotta è tanto inaccettabile quanto comune. Attualmente, i media operano prevalentemente su una base “gender-bling”, senza tenere in considerazione prospettive di genere. Considerato il ruolo chiave che i media giocano nel formare le società su cui fanno informazione, risulta evidente la responsabilità che hanno nello stabilire standard etici per le quotidiane attività redazionali. I giornalisti non sono estranei a framework normativi: il Codice Etico della Society of Professional Journalists è insegnato in ogni classe di giornalismo. Con i conflitti che entrano progressivamente in dinamiche sempre più complesse e pubblicizzate sui media, qualcuno ha avanzato un invito ad adottare framework più forti e concreti per aiutare i giornalisti a raccontare le società in conflitto in modo accurato ma senza metterne in pericolo la sicurezza. È di fondamentale importanza che una prospettiva di genere entri a fare parte del nuovo codice etico. Per promuovere la Risoluzione 1325 nella prossima decade, mezzi di comunicazione, organizzazioni internazionali e organismi di base si devono riunire per redigere un codice etico che affronti specificamente il tema di “gender in conflict”. Il codice non sarebbe legalmente vincolante né rappresenterebbe una soluzione a tutti i problemi, ma un processo consultivo supportato dalle Nazioni Unite e altri attori rilevanti potrebbe aiutare a mobilitare il settore dei media nella promozione degli obiettivi della Risoluzione 1325.”

Queste le parole con cui Annina Claesson introduce la sua essay “Mobilizing a Forgotten Sector: A Case for a New Media Code of Ethics on Gender and Conflict”, tra le vincitrici della competizione indetta da WIIS Global e disponibile a questo link >>