Il seguente testo è un estratto del diario scritto dal maggiore Erika Monticone, Gender Advisor della Brigata Alpina Julia nel 2015, nell’ambito della missione Resolute Support, ad Herat, Afghanistan. (https://wiisitaly.org/combattere-la-discriminazione-di-genere-in-afghanistan-attraverso-lo-sport-e-corsi-di-sartoria-e-parrucchiera/

Agosto 2015.
“E’ notte. Mentalmente ripercorro la giornata di domani: impegni importanti che mi coinvolgono, verso i quali sento una forte responsabilità morale. Con questa missione arrivo a 24 i mesi. Ventiquattro mesi, due anni della mia vita trascorsi qua, in questa terra fatta di sabbia e vento.

Vivere qua non è facile, ma è unico. Sono un ufficiale della Riserva Selezionata dell’Esercito, Gender Advisor di Taac West sotto il Comando della brigata Julia.
Il mio lavoro mi piace moltissimo anche  perché, per la fiducia accordatami dal Comandante, posso svolgerlo in quasi totale autonomia. Essendo stata qua per ben 18 mesi con un incarico che mi permetteva di uscire quasi ogni giorno dalla base militare, conosco bene Herat ed ho buoni rapporti con la maggior parte dei miei interlocutori governativi e non. Questo mi ha permesso di lavorare fin dal primo giorno di presenza in teatro: sapevo chi contattare, conoscevo chi avevo di fronte. Il mio ruolo e’ essenzialmente quello di “supportare” il paese nella ricostituzione della società civile. In questo caso la base della società e parte più debole della stessa sono le donne. In un paese che ha visto guerre e distruzioni le donne sono le uniche che, partendo dalla famiglia, possono far rinascere il paese. Io mi occupo di loro. E il mio obiettivo dal primo giorno del mio arrivo ad Herat è stato sempre quello di ripartire sapendo che il mio lavoro era riuscito a migliorare l’esistenza di quante più donne possibile. Insegnare loro un mestiere che gli darà modo di portare avanti la famiglia. Fare in modo che prendano coscienza del loro valore. Dare loro un minimo di indipendenza economica capace di indurre il loro marito, padre o fratello, a rispettarle di più. Un compito difficile. Soprattutto qua. Ma unico.

A volte mi chiedono quale sia la mia giornata tipo qui ad Herat, ma una mia giornata tipo non esiste. L’altro ieri ho incontrato la direttrice dell’orfanatrofio di Herat. 200, tra bambini e bambine. E’ venuta qua in base con tre bambine. Sono entrate tenendosi per mano, piccole, vestite tutte uguali. Siamo andate in un’aula messa a disposizione dalla Joint Air Task Force e abbiamo regalato alle bambine alcuni giochi arrivati dall’Italia. Abbiamo parlato un po’ con la direttrice: una donna di 57 anni dalla faccia rugosa e parlando con la direttrice mi sono resa conto che all’orfanotrofio mancavano molte cose.
Contemporaneamente, in due aule ricavate nei locali di un ex ristorante della base, c’era il corso di sartoria e parrucchiera. Ormai le ragazze che lo frequentano sono diventate amiche con cui si ride pur parlando un’altra lingua. Arrivano qui la mattina. Io le aspetto una ad una e le accolgo in questo luogo così distante dalla loro quotidianità . Sono donne coraggiose quelle che vengono qua. Io le ammiro. Coperte dai loro lunghi veli, silenziose e sorridenti, varcano la soglia della base come fosse l’arrivo di una lunga marcia ad ostacoli.  Con i corsi, tenuti da artigiani provenienti dalla Confartigianato di Udine, stiamo insegnando un mestiere a 25 donne. L’obiettivo per i corsi futuri è che alcune di queste donne diventino assistenti degli insegnanti italiani in modo tale che alla nostra partenza abbiano veramente acquisito anche la capacità di insegnare. La maggior parte di loro provengono dai villaggi intorno ad Herat. Cerco di capire dove vivono, da che parte provengono, come sono le loro case. Sono case di fango come quelle qua intorno o case in muratura? Chiedo loro. Mi dicono di vivere in case in muratura, ma semplici, ad un solo piano, non molto grandi. Chiedo all’interprete che conosce bene i villaggi di provenienza. In alcuni luoghi sono già stata. Masouma vive ad Injil il distretto hazara ad est di Herat. C’ero stata nel 2013, in circostanze completamente diverse, quando con un amico della cooperazione italiana cercavamo un azienda dove lavorava una cooperativa di donne che producevano e confezionavano marmellate e frutta in scatola.
Seema vive nel distretto di Zinda Jan, direzione Iran. Anche lì ero stata tre anni fa per l’inaugurazione di una strada. Durante i corsi si studia e si lavora. Ma ci sono anche momenti di dialogo. Un momento di grande fratellanza tra donne. E’ il loro momento di libertà in cui possono essere veramente Seema e Masouma.

Non è facile vivere qua, ma la presenza di queste donne qui oggi e’ la prova che negli ultimi 10 anni qualcosa è cambiato. Che per queste ragazze di Herat la nostra presenza ha significato qualcosa. Non solo una speranza, ma un piccolo reale cambiamento.”