Il tutto è iniziato quando ero in Erasmus in Turchia 10 anni fa. In quel periodo visitai la Siria, era il gennaio 2011, solo due mesi prima l’inizio della rivoluzione… Poi in Turchia ci sono tornata e ricordo che nel 2014, mentre vivevo ad Ankara, si discuteva già dei foreign fighters. In Italia, invece, non se ne parlava affatto”.

“Daeş. Viaggio nella banalità del male” è un denso, necessario resoconto dello sviluppo dell’Isis, dalle sue origini profonde alla disfatta militare nel 2019 segnata dalla battaglia di Baghouz. Dall’analisi, minuziosa e documenta, emerge nitidamente la centralità delle donne nell’attività della compagine. Il libro svela come, dal proselitismo, alla propaganda, all’educazione, le migliaia donne del Califfato spesso trascurate abbiano in realtà giocato un ruolo attivo e fondamentale nell’organizzazione. Ancora oggi, rinchiuse nei campi per le ‘famiglie del jihad’ tra Siria e Iraq, continuano a mobilitarsi, alimentando la speranza di una prossima rinascita dello Stato Islamico.

L’autrice è Sara Montinaro, attivista specializzata in violazione dei diritti umani, immigrazione e diritto internazionale umanitario. Sara Montinaro conosce bene la zona. Prima per studio, poi per attivismo e lavoro, ha collaborato a diversi progetti tra Turchia, Siria, Kurdistan iracheno e Rojava. Mentre l’Isis prendeva forma, organizzandosi militarmente e amministrativamente, reclutando seguaci e ampliando i suoi ‘confini’, Sara Montinaro partecipava a carovane e missioni umanitarie proprio in quelle zone. “Ho visto e vissuto i cambiamenti che erano in atto”, mi dice, ed è vivendo da vicino le dinamiche del territorio che ha sentito il bisogno di raccontare. Raccontare da un lato per capire lei stessa cosa stava succedendo, e dall’altro per fare chiarezza in un dibattito pubblico sommario e superficiale. In particolare, si parlava poco e male di fenomeni come i foreign fighters, donne e uomini arrivati in Siria principalmente da Europa, Africa e vicino Oriente, per consacrare la loro esistenza allo Stato Islamico. Sono proprio loro, gli inesplorati foreign fighters a dare forma al racconto di Sara Montinaro. L’autrice incastra abilmente le informazioni raccolte sul campo, testimonianze ed interviste e fornisce ai lettori una ricostruzione estremamente dettagliata di Daeş.

Un capitolo a sfondo storico introduce la genealogia dell’Isis, ponendo le basi geopolitiche ed ideologiche che hanno portato alla formazione dell’utopia retrospettiva di un Califfato per la umma islamica. Aprendo con la Grande Fitna, l’iniziale scissione tra sunniti e sciiti (i primi sostenitori di Abu Bakr, fido compagno del profeta, come guida della comunità, mentre i secondi a favore di Alì, cugino di Maometto, come suo successore), Sara Montinaro non manca di sottolineare le numerose scuole e correnti che rendono l’argomento certo più complesso, ma soprattutto più esauriente e comprensibile. Proseguendo nel quadro storico, segue la progressiva identificazione del Califfato con uno Stato Islamico “unico e divino che riunifichi la umma sunnita”. In altre parole, le parole di Mustafà, imam siriano intervistato da Sara Montinaro, la progressiva affermazione di “un impero islamico” per la comunità di fedeli da realizzare attraverso la guerra santa. Perciò, ripercorrendo lo sviluppo e le diramazioni dell’Islam, il libro arriva a spiegare il fondamentalismo jihadista. I jihadisti, più radicali tra i salafiti (“una scuola di pensiero il cui approccio è caratterizzato da una rigorosa applicazione dei precetti originari”), sostengono la lotta armata per affermare l’Islam delle origini, incontaminato e non compromesso da influenze occidentali. A complemento della spiegazione teorica, l’autrice descrive come vertici di organizzazioni fondamentaliste quali al-Qaida siano confluiti nel sedicente Stato Islamico, modellandone struttura e strategie. Sono però esplicitate anche le unicità dell’Isis, quelle differenze rispetto ad altre organizzazioni che ne hanno fatto la più temuta minaccia dalla comunità internazionale.

Tra queste differenze, una caratteristica propria dello Stato Islamico è la sua capillare struttura amministrativa. Il secondo capitolo si addentra infatti nell’organizzazione dell’Isis, offrendo una particolareggiata radiografia della sua divisione e gerarchia burocratico-militare. Sono elencati ed analizzati i diwan (dipartimenti) dell’apparato amministrativo, dal Diwan della Shura, il più alto organo consultivo, a quelli della propaganda, della guerra, degli stranieri… “All’interno dell’apparato dello Stato Islamico ci sono in realtà diverse compagini, sovrapposte le une alle altre, che creano un capillare sistema di controllo su ciascun funzionario”. Una vera e propria struttura parastatale, finanziariamente autonoma (anche grazie a complicità esterne e relazioni con l’economia legale) e dotata di un sistema di welfare. Un sistema sanitario gratuito, il monopolio sui servizi di prima necessità e un sistema educativo ad hoc hanno reso l’Isis pervasiva e indispensabile per la popolazione. Sconcertante è anche l’attenzione dedicata ai bambini, i “cuccioli del Califfato: bambini, maschi, tra gli undici e i diciotto anni, addestrati a diventare la nuova generazione di jihad”.

Il terzo capitolo è il cuore del libro e affronta un’ulteriore peculiarità dell’Isis: “Lo Stato Islamico è stata la prima organizzazione jihadista (a parte i ceceni…) a individuare le donne come soggetti da intercettare e includere nel progetto politico”. In questa parte del libro Sara Montinaro si focalizza sul ruolo delle donne nell’Isis, le cosiddette spose di Daeş: madri dei cuccioli del Califfato, mogli di combattenti e vedove di martiri jihadisti. L’autrice però va oltre questa narrazione tanto diffusa quanto generica. “Per me è stata un’esigenza naturale dar voce a questa parte della storia, da un lato per superare gli stereotipi anacronistici, e dall’altro con l’obiettivo di fornire gli strumenti per poter interpretare al meglio questo nuovo fenomeno”. Le donne, siriane e irachene, ma anche italiane, francesi, tedesche, si sono ritagliate ruoli di potere all’interno dell’organizzazione. Reclutatrici di seguaci, abili nell’utilizzo della propaganda e dei social, formatrici, e parte integrante della struttura poliziale nelle brigate femminili. “Non mi sarei mai aspettata di scoprire quello che ho trovato sul campo: alcuni mi hanno rivelato che le donne, soprattutto le straniere, erano persino più crudeli degli uomini”. Quando l’autrice intraprende il drammatico racconto delle yazide, le donne si trasformano immediatamente da carnefici a vittime. “Centinaia di donne e ragazze yazide furono rapite: alcune vendute come schiave, altre diventarono bottino di guerra. […] Considerate beni mobili, venivano imprigionate nelle case e tenute in schiavitù sessuale”. Seguendo l’atroce schema visto e rivisto nei tentativi di pulizia etnica, lo stupro diventa la più brutale arma di guerra. Il capitolo è corredato da testimonianze di donne europee partite per unirsi all’Isis, ora nei campi di Al-Hol e Roj controllati dalle Syrian Democratic Forces (SDF). Molte dichiarano di essersi pentite. Alcune righe dopo, in pagine rinominate dall’autrice “Pagine di diario”, si legge: “La maggior parte di loro non si sono pentite realmente. E i crimini che hanno commesso, anche se non direttamente ma comunque supportando tutto il meccanismo e il sistema, sono agghiaccianti”.

L’ultimo capitolo racchiude preziose riflessioni su cosa rimanga dello Stato Islamico oggi. “Nel corso delle interviste che ho condotto […] emerge molto chiaramente che qualcosa succederà. L’Isis non è morto e tornerà più forte di prima”. Non certo un lieto fine. D’altronde, come afferma Sara Montinaro nelle sue pagine di diario: “la nostra società si deve assumere la responsabilità di aver creato questi frutti. Un fenomeno di questo tipo e di questa portata deve essere affrontato da tutti, insieme”.

Per affrontarlo, questo fenomeno va innanzitutto compreso. “Daeş. Viaggio nella banalità del male” di Sara Montinaro (Meltemi Editore, 2020) è uno strumento di analisi fondamentale per interpretare e comprendere le dinamiche dello Stato Islamico.

Dafne Carletti