“Cosa posso cogliere di me stessa al di fuori di questa crosta sociale e materiale? Se si potesse trasporre la formula di Cartesio nell’ordine della vita e dire: io combatto quindi sono, allora probabilmente ogni azione si riempirebbe di significato. In questa lotta è coinvolto il nostro sognatore: un sogno, si, ma un sogno reale, perché le idee a cui si aggrappa sono idee sperimentate! È sempre lo stesso problema, una soluzione forzatamente interrotta, un instancabile lotta che muore e rinasce: qui giace l’umanità. Qui si trova la donna oggi”.

L’estrapolato è tratto dal saggio Rêverie d’une femme d’aujourd’hui pubblicato nell’agosto del 1932 sul periodico L’Égyptienne, giornale femminista, egiziano e scritto in lingua francese. Il saggio segnò il trasferimento di fiducia da parte delle donne musulmane egiziane verso l’autrice del testo, affinché questa potesse organizzare il loro coraggio e le loro rivendicazioni di fronte ai mutamenti istituzionali dell’Egitto del tempo. Si trattava di Dora Shafik, attivista, politica, giornalista, poetessa e scrittrice egiziana vissuta dal 1908 al 1975. Periodo animato da stravolgimenti storici e istituzionali che andarono dall’occupazione inglese dell’Egitto a partire dal 1882, alla rivoluzione egiziana del 1952 sino ai tempi di Nasser e a seguire di Al-Sadat. Sulla scia dei moti popolari che si alternarono durante quegli anni Dora rivendicava la lotta per i diritti negati alle donne, una lotta che assumeva le vesti del femminismo islamico.

Questa espressione indica la volontà di far coincidere i principi del femminismo con i principi dell’Islam, tramite una reinterpretazione del Corano. Il Corano è il testo sacro rivelato da Allah a Maometto, ma la sua interpretazione è di natura umana e soggetta all’influenza delle varie scuole giuridiche musulmane. Doria credeva fermamente che una reinterpretazione del Corano e degli ḥadīth (i detti e i fatti compiuti da Maometto) avrebbero condotto all’uguaglianza di genere tra uomini e donne musulmane. Le sue battaglie toccavano principalmente la sfera dei diritti politici e civili. Chiedeva l’inclusione delle donne nella transizione costituzionale dell’Egitto, la loro partecipazione alla stesura della carta costituzionale accompagnata da un maggior accesso all’istruzione e dal raggiungimento della libertà individuale. Richieste portate avanti su più fronti: attraverso la pubblicazione di articoli sui giornali da lei fondati La Femme Nouvelle e Bint al-Nil; tramite la mobilitazione popolare delle donne, la cui rinascita era affidata all’organizzazione fondata sempre da lei dal nome Bint al-Nil Union; attraverso la marcia sul parlamento e lo sciopero della fame con l’obbiettivo di partecipare alle elezioni parlamentari. Le lotte di Doria volte a rigenerare le istituzioni musulmane e destrutturare l’assetto maschilista della società egiziana, si rivolgevano anche al mondo occidentale. L’immagine orientalistica della donna musulmana con l’Hijab e gli occhi bassi che aleggiava tra le società occidentali doveva tramontare per scontrarsi con la realtà. Dove esistevano donne attiviste e musulmane che con coraggio e strategia influenzavano il corso della storia.

Sebbene Doria Shafik sia morta nel 1975, le rivendicazioni femministe e i pregiudizi interni ed esterni alla società egiziana risultano attuali. Nel febbraio del 2021 i media egiziani hanno comunicato la presentazione in parlamento da parte del presidente Abdel Fattah Al-Sisi, di una bozza di legge volta ad emendare la legislazione sullo status personale. La bozza presenta articoli che limitano la libertà personale delle donne in ambito matrimoniale. Tra questi ne risultano alcuni per cui il wālī della donna, ossia il suo tutore, potrebbe sporgere denuncia per richiedere l’annullamento del matrimonio entro un anno, se reputa incompatibile la coppia o la dote matrimoniale poco soddisfacente. Ancora, una donna che ha ottenuto la tutela sul figlio nato da un precedente matrimonio, deve riceve il permesso scritto dal suo ex marito per poter viaggiare e per prendere ogni decisione legale riguardo il figlio. Al contrario la bozza non impone tali restrizioni sull’uomo. Inoltre la legge rafforzerebbe l’assetto poliginico della società egiziana, poiché prevede un articolo per cui l’uomo deve ufficialmente informare sua moglie circa la sua intenzione di sposare un’altra donna. Nel caso di non adempimento, per l’uomo è previsto il carcere o la multa. La bozza di legge è stata fortemente criticata da attivisti per i diritti umani di entrambi i sessi, i quali continuano a protestare per le strade del Cairo rivendicando la supremazia del controllo che le donne esercitano su loro stesse rispetto a quello esercitato dagli uomini. Le femministe hanno considerato la bozza un passo indietro di 100 anni.

Di fatti dagli anni Duemila ad oggi il parlamento egiziano ha riformato diversi aspetti dello statuto personale che hanno garantito una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica e una maggiore indipendenza. Prima delle primavere arabe (2011) è stata istituzionalizzata una legge della Sharia, il kul ossia il divorzio per mutuo consenso, grazie al quale la donna può unilateralmente chiedere e ottenere il divorzio, in cambio di un compenso materiale da consegnare al marito. O ancora alla donna divorziata è stata concessa la custodia dei figli sino a 15 anni. A seguito dei moti arabi del 2011 le donne egiziane hanno assunto un ruolo sempre più presente nelle piazze e nell’arena politica, non solo portando avanti la lotta femminista, ma contribuendo al processo di democratizzazione e di realizzazione delle idee rivoluzionarie. Nella costituzione del 2014 è stata sancita la piena cittadinanza alle donne, le quali in precedenza non potevano trasmettere la cittadinanza egiziana al figlio, se sposate con un uomo di un’altra nazionalità. È stato istituzionalizzato l’impegno a combattere ogni forma di violenza e discriminazione contro le donne ed è stato enfatizzato il diritto all’istruzione per le ragazze e l’uguaglianza di genere. Inoltre è stato introdotto un nuovo sistema di quote per i consigli municipali, il quale garantisce alle donne un quarto dei seggi disponibili. Mentre sul piano nazionale il presidente Al-Sisi ha introdotto la legge per cui alle donne spettano 14 dei 27 seggi destinati ai parlamentari nominati direttamente del presidente. Nonostante l’apertura dimostrata ufficialmente, la presenza delle donne nel processo di decision-making rimane marginale e ostacolato dai pregiudizi, dalla mancanza di fondi statali per i partiti guidati da donne, dalla disoccupazione nel mercato del lavoro e dalla violenza. Quest’ultimo punto assume un drammatico peso nella quotidianità e nelle scelte delle donne egiziane. Nel 2017 un’inchiesta portata avanti dalla fondazione Thomson Reuters ha classificato la capitale egiziana, il Cairo, come la città più pericolosa al mondo per le donne.

Nel 2020 un grande moto di solidarietà ha unito donne e uomini contro la paura della violenza sulle donne, è nato il #Me too egiziano. Nel giugno del 2020 Nadeen Ashraf studentessa dell’America University del Cairo ha creato un account Instagram anonimo da cui ha denunciato Ahmed Bassam Zaki, un ventiduenne colpevole di aver molestato verbalmente e fisicamente un centinaio di donne. Nel giro di pochi mesi l’account Instagram dal nome @assaultpolice ha raggiunto più di 70.000 follower. Le donne sotto il movimento globale #Me too procedono verso un cammino di solidarietà e di lotta, volto all’elaborazione di proposte di leggi per porre fine alle violenze e smuovere la comunità internazionale nel considerare la gravità delle molestie che vivono le donne egiziane. Ciò che la storia dell’Egitto da colonia inglese, sino all’Egitto di Al- Sisi ci ha insegnato è che le donne, nonostante l’oppressione dei regimi, delle istituzioni conservatrici islamiche e nonostante il pregiudizio occidentale che le dipinge come vittime sottomesse ad una società intransigente e maschilista, sono state capaci di lasciare emergere la scintilla rivoluzionaria interiore e collettiva, la quale non ha pura di sovvertire i pilastri della propria società per proporne dei nuovi e lottare per questi.