La comunità internazionale ha gli occhi puntati sulla crisi in Yemen. Durante le prime settimane dell’amministrazione Biden, il movimento di maggioranza sciita che costituisce il più potente blocco di opposizione, Ansar Allah, meglio conosciuto come gli Houthi, è stato prontamente rimosso dalla lista americana di organizzazioni terroristiche (tale aggiunta era stata una delle ultime misure adottate da Trump prima del termine del mandato). L’amministrazione Biden ha dichiarato di considerare il conflitto in Yemen un teatro chiave della politica americana in Medio Oriente, come sottolineato dalla nomina di un inviato speciale su questo dossier, Tim Lenderking. Anche all’ONU è stato possibile osservare un aumento di attività da parte degli americani sul fronte Yemen.
Quando si guarda a tutti i conflitti e le crisi che dominano il Medio Oriente, lo Yemen è spesso citato come una delle crisi risolvibili. Pertanto, il conflitto acquista un’importanza politica particolare a livello internazionale. Alcuni esperti russi sembrano persino considerare lo Yemen un dossier di possibile cooperazione tra America e Russia. L’UE viene spesso menzionata in questi dibattiti. Sono passati sei anni dall’inizio dell’offensiva militare da parte della coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita. Il conflitto in Yemen rappresenta una minaccia diretta per il vicinato europeo, vista la prossimità geografica del paese alle economie del Golfo, le cui relazioni con gli stati membri in materia di economia e sicurezza sono chiave. A complementare gli sforzi promossi dall’ONU, guidati dall’inviato speciale Martin Griffiths, l’UE potrebbe porsi al centro del processo di pace. L’ultima volta che la situazione in Yemen è stata discussa all’interno del Consiglio Affari esteri dell’UE è stato nel Consiglio dell’UE del 2019, in seguito all’accordo di pace di Stoccolma raggiuntosi nel dicembre 2018. In quell’occasione, le conclusioni del Consiglio Affari Esteri ribadivano il supporto dell’UE e degli stati membri di una “soluzione politica inclusiva” richiedendo la “partecipazione significativa di tutte le parti implicate, incluso la società civile, le donne e i giovani”.
Nonostante tale dichiarazione, l’UE rimane un attore di importanza minore per quanto riguarda la facilitazione della partecipazione di questi gruppi, i quali rimangono spesso esclusi dai negoziati nonostante il ruolo alquanto prominente di questi gruppi nelle iniziative di pace sul territorio. L’importanza dell’inclusività nei negoziati è di particolare rilevanza in Yemen, un conflitto che viene spesso ridotto al bipolare confronto tra il presidente Hadi e gli Houthi, ma che in realtà vede una miriade di movimenti minori (tuttavia meno potenti) in diverse aree. Quando si punta alla molteplicità’ degli attori presenti sul campo, spesso ci si riferisce a gruppi armati non statali, organizzazioni principalmente costituite da uomini o nelle quali le donne occupano un ruolo marginale. In pochi casi invece si considerano movimenti non armati organizzati o capeggiati da donne malgrado il fatto che il ruolo che le donne yemenite nel facilitare importanti momenti di progresso, come cessate il fuoco e processi di rilascio di detenuti, sia ben documentato. Le poche donne incluse finora nei negoziati a livello multilaterale hanno sempre avuto un ruolo di poca rilevanza, la loro partecipazione ridotta in linea di massima a puro tokenismo. Tale mancanza può essere in parte giustificata dal fatto che più attori vengono inclusi, più interessi sarebbero presenti che rischiano di complicare i negoziati. Tale logica può essere controbilanciata dai molteplici studi che dimostrano il puntuale fallimento dei negoziati che evitano di rappresentare la varietà di attori esistenti. Inoltre, tali preoccupazioni non sembrano vigenti quando si tratta di includere un movimento armato.
La mancanza di inclusività delle donne nei negoziati, specialmente in materia di sicurezza, è un tema comune in tutto il Medio Oriente. Le classi dirigente degli stati in questa regione sono caratterizzate da un’alta componente maschile, con nessuna donna a capo dei rispettivi governi; anche a livello ministeriale, parlamentare e giuridico vi sono pochissimi esempi di donne al potere. E quando si guarda a quei pochi esempi, le cariche ministeriali assunte dalle donne sono per lo più pertinenti a ruoli di educazione, salute ed economia, ma mai sicurezza e difesa. Inoltre, tali donne al potere sono per lo più donne di alta classe, facenti parti di famiglie reali o élite di altro genere. Lo Yemen ne è l’esempio più eclatante: ultimo nella classifica in materia di donne partecipi della vita politica del proprio paese. Ne risulta una partecipazione delle donne a negoziati politici non normalizzata, ostacolata da varie barriere socio-culturali. Se le piattaforme dei negoziati sono dominate da uomini, ne deriva che spesso il contesto sociale e culturale capace di favorire la partecipazione delle donne sia piuttosto latente. Nonostante l’alto livello di istruzione di molte donne della regione, tali ostacoli e mancanza di accesso a discussioni di pace e sicurezza risultano in una mancanza di esperienza da parte delle donne mediorientali, un fattore che le lascia spesso indietro qualora vi sia un confronto con candidati maschili.
L’esistenza di questi ostacoli crea una tendenza verso il tokenismo della partecipazione femminile in discussioni politiche e di sicurezza in Medio Oriente. Ciò rende a dir poco marginale il contributo che le donne esperte possono dare ai processi politici di pace e sicurezza.
L’UE può contribuire al cambiamento di queste tendenze. Essa può attingere all’esperienza che gli stati membri e le istituzioni hanno maturato durante gli anni in materia di inclusione di genere. Potrebbe adottare nuove conclusioni capaci di rinnovare l’interesse politico su questo conflitto. La Francia (e Regno Unito) può fare uso delle strette relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita per fare pressione a fine di assicurarsi una partecipazione significativa delle donne nei negoziati. Anche i membri europei del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Francia, Regno Unito, Norvegia e Irlanda) possono mobilitarsi a tale scopo, possibilmente anche cercando di superare gli ostacoli creati dalla risoluzione del Consiglio 2216 – l’ultima adottata sullo Yemen nel 2015, la quale riduce il processo di pace ad una discussione dicotomica tra il fronte di Hadi e gli Houthi e pertanto agisce da ostacolo strutturale all’inclusione di altri attori influenti. Questo fronte europeo alle Nazioni Unite potrebbe anche agire da mediatore tra Stati Uniti e Russia in modo da assicurare supporto umanitario. A tal fine, anche il Regno Unito potrebbe anche rivalutare la propria recente decisione di diminuire gli aiuti adibiti ad alleviare le sofferenze dei civili causate dalla guerra. A livello istituzionale, l’UE può coadiuvare questi sforzi e agire da mediatore per supportare gli sforzi capeggiati dall’inviato ONU Griffiths.
L’UE ha spesso dimostrato di avere un ruolo chiave nell’inclusione delle donne in altre situazioni. Spesso è l’unico attore internazionale che fa pressione su questo punto. Lo Yemen costituisce uno scenario che presenta la possibilità di creare un caso esemplare di un successo europeo in materia di partecipazione di genere nei processi di pace.
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