È nato prima dell’esplosione del caso Weinstein e delle sue code, quando sulle pagine dei nostri giornali e sugli schermi delle nostre televisioni abbiamo sentito parlare di donne vittime di violenza con l’ormai consueto linguaggio intriso di stereotipi  e pregiudizi. Il Manifesto di Venezia, ultima carta deontologica dedicata ai giornalisti e alle giornaliste, vuole proprio evitare l’uso di un linguaggio, che più o meno inconsapevolmente, diventa veicolo di disparità e asimmetria di genere.

La lotta contro le violenze sulle donne passa infatti anche dalle parole, quelle usate contro di noi o per parlare di noi. La stessa convenzione di Istanbul , approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 e recepita dall’Italia nel 2013, condannando la violenza domestica e  ogni forma di violenza sulle donne, insisteva sulla prevenzione e sull’educazione. Ecco perché l’associazione GIULIA Giornaliste si è fatta promotrice, su proposta del sindacato giornalisti veneto, della redazione di questo Manifesto per il rispetto e la parità di genere nell’Informazione.

Rispetto della deontologia, no al sensazionalismo, a cronache morbose, a divulgare i dettagli della violenza, no all’uso di termini fuorvianti come “amore”, “raptus”, “gelosia” per crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento. No alle strumentalizzazioni con la distinzione di “violenze di serie A e di serie B” in relazione a chi sia la vittima è chi il carnefice. Questi alcuni degli impegni che  si assumono i firmatari e le firmatarie del Manifesto che verrà ufficialmente presentato a Venezia, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne.

Tra gli obbiettivi della Carta, anche uno particolarmente caro a noi di WIIS Italy, ovvero il raggiungimento della “par condicio di genere” nei talk show e nei programmi di informazione. E, aggiungiamo noi, la parità di penna quando si scrive di politica internazionale. Un obbiettivo ancora molto lontano … anzi lontanissimo, visto  che le firme femminili sulle prime pagine dei giornali e dei siti che monitoriamo quotidianamente sono decisamente minoritarie. I nomi delle donne interpellate con costanza a commentare eventi internazionali sono così pochi che potrebbero stare nelle dita di una mano. Questa quasi assenza delle donne nel dibattito che i media main stream dedicano alla politica internazionale contribuisce a rafforzare quel pregiudizio secondo il quale le donne sono estranee a questo settore. Un pregiudizio da combattere attivamente non solo per raggiungere la parità di genere, ma soprattutto per sostenere attivamente il contributo delle donne nel settore della pace e della sicurezza internazionale. Per chi, come noi, osservando la Storia ha notato che il maggior peso  conquistato dalle donne negli ultimi secoli è stato uno dei più importanti fattori di progresso e di crescita per le società che hanno conosciuto e promosso tale evoluzione, questo è un ulteriore passo in avanti da compiere, lungo un percorso tutt’altro che completato.