Il 23 novembre il Movimento Studentesco per l’Organizzazione Internazionale (MSOI) e United Nations Youth Association of Italy (UNYA Italy) hanno intervistato la Presidente di WIIS Italy, Irene Fellin, sul tema “Risoluzione 1325: Il ruolo delle donne nei processi di pace”.

Che cos’è WIIS, di cosa si occupa e perché è nata?

Women in International Security (WIIS) Italy nasce nel marzo 2016, ma WIIS è stato fondato molto tempo prima negli Stati Uniti, nel 1987 (ben prima dell’adozione della 1325!), ad opera di un gruppo di donne che lavoravano in politica e difesa. Si sentivano discriminate in un contesto a predominanza maschile e molto patriarcale, il settore della difesa, e decisero di creare un contesto privilegiato e protetto di dialogo per le donne, una rete che proteggesse e tutelasse la loro professionalità. WIIS quindi nasce a tutela della figura professionale femminile, ma con il corso degli anni si è visto un mutamento, un ampliamento degli interessi dell’associazione. WIIS ha cominciato ad inserire tematiche di genere in tutte le questioni che venivano trattate, cercando di diventare portatrice di un messaggio di cambiamento nel settore della difesa, della sicurezza e delle organizzazioni internazionali. WIIS Italy è una delle tante antenne di WIIS che ci sono nel mondo. Dopo aver conosciuto le altre realtà, come quella di Bruxelles quando lavoravo alla NATO, sono rientrata in Italia e mi sono resa conto che non c’era una realtà simile. Quindi ho pensato di crearla io. Ho promosso e condiviso l’idea con altre donne, tra cui l’Onorevole Lia Quartapelle, che hanno supportato il progetto. Così abbiamo creato questa rete, sia per guardare verso donne che avevano già raggiunto posizioni di prestigio, che per le ragazze più giovani… Un patto intergenerazionale tra donne, con l’obiettivo di imparare dall’esperienza delle donne professioniste e di fungere da esempio per le giovani donne che vogliono intraprendere una carriera in ambito di sicurezza e difesa. Le attività di WIIS hanno diverse diramazioni. C’è innanzitutto un percorso informale fatto di relazioni: WIIS è un network, quindi l’aspetto relazionale è importantissimo. Fino a prima del Covid, abbiamo cercato di incontrarci con regolarità. Ora tutto avviene online, e all’inizio temevamo che ci avrebbe indebolite. Invece lo schermo è diventato un alleato, perché ci ha permesso di andare oltre i confini di Roma, arrivando ad avere ospiti oltreoceano e diffondendo le nostre attività e missioni in tutto il territorio italiano. C’è poi un percorso più formale: uno dei progetti principali quest’anno è stato il programma di Mentoring, ispirato ad attività di altre antenne WIIS, che consiste in una serie di incontri in plenaria con donne professioniste del settore, su mediazione, partecipazione ai processi di pace, leadership, public speaking… Per sviluppare competenze e conoscenze delle partecipanti al programma. Inoltre, vengono abbinate alle 22-25 partecipanti delle donne affermate nel mondo del lavoro, creando un rapporto mentore-mentee dove le mentori accompagnano le mentees nel loro percorso (anche se abbiamo scoperto una volta iniziato il programma che è in realtà un momento di crescita da entrambe le parti). Il Programma verrà portato avanti l’anno prossimo in una seconda edizione, proprio grazie al suo successo. Facciamo incontri con le università, corsi di formazione specifici, incontri per fare promozione e advocacy… Poi ci sono i progetti di cui ci occupiamo in modo più professionale. Tra questi il Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo (Mediterranean Women Mediators Network), promosso dal Ministero degli Esteri e implementato da noi e dall’Istituto Affari Internazionali (IAI). Il Network vuole promuovere uno dei pilastri della Risoluzione 1325, ovvero il coinvolgimento delle donne (del più alto numero di donne) nei processi di pace e nella mediazione, nello specifico nell’area del Mediterraneo. Da lì, abbiamo poi portato avanti altre esperienze, per esempio un progetto con paesi del sud est asiatico, dove si vuole creare un network simile, e con cui faremo incontri di formazione e condivisione di good practices. Sempre in questo ambito, quest’anno siamo coordinatrici della Global Alliance of Regional Women Mediator Networks, che comprende 5 network di donne mediatrici (FemWise-Africa, l’Arab Women Mediators Network – League of Arab States, il Mediterranean Women Mediators Network, il Nordic Women Mediators e il Women Mediators across the Commonwealth) e come WIIS seguiamo questo progetto che ci ha dato uno slancio al di là dei nostri confini nazionali.

Parlando di promozione dell’agenda Donne, Pace e Sicurezza… Che cosa si intende con questo termine e quali sono i sui pilastri?

L’agenda Donne, Pace e Sicurezza si basa su una Risoluzione, la 1325, adottata il 31 ottobre 2000 e di cui abbiamo appena celebrato il 20° anniversario. L’adozione della 1325 è stato il momento finale di un processo iniziato prima, in particolare nel 1995 durante la Conferenza di Pechino. Lì, uno dei punti salienti riguardava proprio la partecipazione delle donne nelle risoluzione dei conflitti e nei processi di pace. Per la prima volta la comunità internazionale ascoltava la voce delle donne e iniziava a comprendere la necessità della loro presenza e partecipazione in questi contesti. La Risoluzione 1325 ha due principi fondamentali: da un lato, l’idea che i conflitti affliggono donne e uomini in maniera diversa; dall’altro che le donne devono avere un ruolo attivo nella prevenzione e nella risoluzione dei conflitti. Col tempo, si è capito anche che il genere non è statico, nella società i ruoli non sono binari, e questa diversità sta venendo pian piano riconosciuta. Perciò, sono state adottate altre 10 risoluzioni. Una non poteva essere sufficiente: il tempo cambia, cambiano i conflitti, cambiano le dinamiche… alcuni aspetti andavano rinforzati ed altri integrati. I 3 pilastri della risoluzione sono: prevenzione, promozione e partecipazione.

Ora, 20 anni dopo l’adozione della 1325, a che punto siamo?

L’attuazione è lenta. Negli ultimi tempi c’è stata un’accelerazione, positiva, nella consapevolezza e a livello politico. Quello che spesso succede è che le risoluzioni vengano adottate dal Consiglio di Sicurezza, e poi rimangono lì senza vedere attuazione. Negli ultimi anni, però, ci sono state attività ed iniziative che hanno mostrato un avanzamento e una presa di coscienza maggiore, per passare dall’impegno politico alla messa in pratica. Un esempio è il Network delle Donne Mediatrici del Mediterraneo, che è stato avanzato dal Ministero degli Affari Esteri per provare a portare un cambiamento vero nella regione del Mediterraneo. I progressi ci sono. Si sta anche capendo che ci si deve focalizzare su alcune aree che sono rimaste più carenti. Per esempio, garantire la presenza delle donne anche nella dimensione economica di ricostruzione. Dove vanno i soldi c’è il potere, quindi per dimostrare volontà politica di trasformare la teoria in un’azione concreta, i soldi devono andare verso le donne e le associazioni femminili. Un altro esempio è la difesa dei diritti delle donne human rights defenders, che si espongono mettendo così la loro vita a rischio. Ora ci sono molti network di donne che fungono da rete di supporto per le attiviste che operano in prima persona in contesti pericolosi. Ancora, l’analisi, la ricerca e la raccolta dati, che non è mai sufficiente. Quest’anno col Covid si sono presentati anche nuove sfide, come la questione della mediazione ibrida. In molte aree remote di conflitto non ci sono competenze digitali per gestire la transizione online di tutto ciò che prima avveniva di persona, oppure non c’è connessione stabile, e quindi ci sono ostacoli, anche pratici, alla partecipazione digitale delle donne nei processi di peacebuilding. Si sta quindi cercando di affrontare questi ostacoli, tenendo però anche conto che venire via da quei territori è un modo per molte donne di fuggire proprio da quei contesti di guerra. Un’altra questione emersa con il Covid è che i donors hanno spostato i finanziamenti dall’agenda Donne, Pace e Sicurezza alle misure Covid e per la ricostruzione post-Covid, il che mette a rischio i progressi fatti fino ad ora – e non possiamo permetterlo. Tornando all’attuazione: il Segretario Generale delle Nazioni Unite nel 2004 ha chiesto che i paesi adottassero dei Piani di Azione Nazionali, un meccanismo per tradurre in azioni concrete i principi della Risoluzione 1325. Con il Piano d’Azione, ogni paese viene chiamato ad interpretare la Risoluzione e a definire come intende portarne avanti i principi, sia dal punto di vista istituzionale, che militare, che della società civile. Ad oggi ci sono 86 Piani d’Azione Nazionali e in Italia il 4° verrà approvato entro Natale.

Lei ha lavorato alla NATO proprio sul tema Donne, Pace e Sicurezza, com’è stata la sua esperienza e come è stata recepita dalla NATO la Risoluzione 1325?

L’esperienza è stata molto intensa e molto positiva. Sono approdata alla NATO nel 2012 e sono rimasta per due anni, proprio durante il mandato della prima Rappresentante Speciale del Segretario Generale per le questioni Donne, Pace e Sicurezza. La NATO aveva già adottato la sua policy per l’attuazione della 1325 e nel 2010 aveva adottato anche un piano d’azione per le operazioni in Kosovo e Afghanistan. Nel 2012 però si decise di integrare la Risoluzione in maniera più trasversale. Per 2 anni cercammo di capire come integrare l’attuazione della 1325 nelle diverse sfaccettature della NATO, quella politica, militare, di cooperazione… Da allora, in questi 8 anni sono stati fatti dei passi da gigante su come l’agenda è stata recepita e trasformata, diventando infatti una delle priorità. All’epoca avevamo l’obiettivo di capire come creare una struttura per attuare l’agenda Donne, Pace e Sicurezza, facendo un nuovo piano d’azione che si concentrasse sull’alleanza in tutte le dimensioni. Per questo era importante formalizzare la posizione del Rappresentante Speciale per le questioni di Donne, Pace e Sicurezza, e ci siamo riuscite.

Tra i focus della Risoluzione 1325 c’è l’impiego delle donne sul campo in azioni militari. Il contesto militare però rimane caratterizzato da dinamiche patriarcali di maschilismo. Come si combinano queste due cose?

Questo problema purtroppo non caratterizza solo il contesto militare. Tutta la nostra società è estremamente patriarcale, il tetto di cristallo c’è e si sente in ogni settore. È difficile, le barriere sono legate alla cultura patriarcale che vede la donna in certe posizioni e non in altre. Nel momento in cui una donna nelle forze armate vuole andare in missione ma non ha nessuno che condivida con lei il carico familiare, sarà poi costretta a fare una scelta…. Ma questo avviene nel contesto militare come in altri contesti. La partecipazione delle donne nelle forze armate in Italia rimane molto bassa, però l’Italia è un esempio buono per il tema donne e forze armate. È inutile infatti promuovere politiche di cambiamento se poi siamo i primi a presentarci con delegazioni ed eserciti di soli uomini. Per l’impiego sul campo, esistono i female engagement teams per particolari operazioni, fondamentali perché fondamentale è creare un rapporto di fiducia con la popolazione ospite e la popolazione femminile apre al dialogo. Le donne detengono informazioni molto preziose, vedono e sentono le tendenze della società, vivono sulla loro pelle i problemi della violenza crescente. La crescita esponenziale della violenza domestica spesso va di pari passo col riemergere di un conflitto. Le donne vedono e sanno. Creare un dialogo con loro è fondamentale, ed è praticamente impossibile che parlino se non ci sono altre donne dall’altra parte. Se la domanda è perché non abbiamo ancora donne con la carica di generale, la risposta è che non c’è stato abbastanza tempo: le prime donne generali le vedremo a partire dal 2030.

Quali sono le principali differenze di genere ancora presenti? Il salario, per esempio?

Il Gender Pay Gap esiste ed è significativo. Il 4 novembre è stato il gender pay gap day, giorno a partire dal quale le donne lavorano gratis fino alla fine dell’anno… Quando parliamo di posti pubblici, non c’è differenza. A parità di posizione, il salario è il medesimo. Il problema si presenta con gli avanzamenti di carriera legati alla maternità. Nel settore privato, invece, è diverso: a parità di impiego le donne ricevono salari inferiori. È una questione culturale ed è un fatto, ma non si può chiedere alle persone di non fare figli o di firmare dimissioni in bianco. Servono politiche familiari da parte dello stato, politiche familiari che tra l’altro non sono per le donne, ma per le famiglie. Le violenze che accentuano la differenza di genere sono ancora molte: quella economica, nel lavoro, quella culturale e quella domestica, atroce. Vorrei ricordare che mercoledì 25 sarà la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – anche se ogni giorno dobbiamo ricordare che non siamo sole.

A proposito di violenze sessuali, spesso la violenza sessuale contro le donne è stata usata nei conflitti come strategia di annientamento del nemico. A che punto siamo oggi?

Si sono fatti passi avanti in termini di consapevolezza e a livello politico. Molti paesi e gruppi militari hanno firmato un impegno a non utilizzare la violenza sessuale come arma strategica. È stato anche inserito come tema nella formazione delle forze armate (perché le violenze avvengono anche all’interno e da parte delle stesse). Tuttavia, purtroppo, continua ad avvenire. È sempre avvenuto, in modo particolare e con cognizione a partire dagli anni 90, ma la maggiore consapevolezza su questo tragico fenomeno non è bastata a fermarlo. Organizzazioni nazionali e internazionali si sono attivate su questo tema – parlarne e combatterlo è importante e si sta facendo negli ultimi anni. Quello che stiamo vedendo adesso, dopo 30 anni, è finalmente un processo di riparazione e giustizia per le donne sopravvissute nei Balcani, ma anche in Guatemala, in Iraq… Dopo lunghissimi processi, queste donne vedono riconosciuto in modo giuridico e formale i traumi e le violenze subite, insieme con la condanna dei perpetratori di tali abominevoli violenze – sicuramente uno dei principali successi degli ultimi anni in questo settore.